Venerdì scorso si è tenuto a Vasto un convegno-dibattito dal titolo: “Una Società Civile e Umanista per uno Sviluppo Economico e Sociale”.
I professori Luigino Bruni e la Prof.ssa Suor Alessandra Smerilli, partecipando all’incontro, hanno chiarito che la crisi economica attuale scaturisce – in estrema sintesi – da una crisi di rapporti, di relazioni che ha condotto gli individui ad isolarsi e a perdere interesse verso progetti utili alla comunità e allo suo sviluppo. Per questo progressivo isolamento, la speculazione e il guadagno facile (e non il lavoro, l’impresa e la famiglia) sono diventati l’obiettivo di molti operatori sociali ed economici. Come si fa a uscire da questa impasse? La risposta è semplice: recuperare una “relazionalità virtuosa”. In altre parole lo sviluppo economico e quello sociale coincidono e passano attraverso l’esercizio delle virtù e la relazionalità, perché costituiscono comportamenti che realizzano l’uomo e perseguono il bene comune. Si tratta di concetti suggestivi che tuttavia non servono se non si riflette sul come metterli in pratica. Andando sul concreto, nel nostro territorio, non sono mancate iniziative importanti, volute da cittadini illuminati, i quali, mossi da un sincero amore gratuito, hanno stimolato “comportamenti relazionali virtuosi” per il raggiungimento del bene comune. Purtroppo, spesso, le stesse iniziative, anziché unire, hanno (ingiustamente) diviso, e, durando l’arco di una stagione, sono terminate per lo sfinimento fisico e psichico dei promotori. Questi ultimi, infatti, a volte, si ritirano demotivati e delusi dalle critiche e dall’indifferenza. È tutto molto triste e deve suscitare, in noi, un mea culpa riconoscendo un errore sotteso a molte di queste iniziative: l’assenza di un percorso culturale condiviso da tutti (politici, imprenditori, lavoratori, semplici cittadini). Infatti, solo così, le intuizioni di pochi potranno trasformarsi in solide idee, che, a loro volta, costituiranno la base per solidi progetti a vantaggio del bene comune. Tuttavia, è impensabile che solo i professionisti o i professori abbiamo l’incarico di analizzare le prospettive culturali, perché tutti gli altri (imprenditori, politici, lavoratori) hanno un compito meramente operativo, che giustifica il loro disinteresse verso la cultura e i suoi risvolti pratici.
Venerdì contestando questa tendenza, è emersa proprio la necessità di una “società umanista” in cui tutti possano condividere profondamente la stessa cultura del bene comune. Per questo, abbandoniamo l’idea che in ogni società devono esserci intellettuali e lavoratori. Tutti dobbiamo essere, invece, “intellettuali lavoratori”. Infatti, se è vero che la cultura (che possiamo chiamare pratica) aiuta a trovare idee, è anche vero che queste idee si trasformeranno in progetti vincenti se rispondono a bisogni concreti. Per questo bisogna conoscere, vivendolo, il mondo dell’impresa, del lavoro e della famiglia. E quindi, pur non negando che esistono lavoratori più intellettuali di altri, è comunque essenziale che tutti parlino lo stesso linguaggio. Per fare questo, bisogna seriamente impegnarsi a seguire, a prescindere dall’età, una formazione umanista valorizzando la funzione sociale del’esercizio delle virtù. Laddove ciò non sia sufficiente, si dovrà avere (i) la capacità di ascoltare gli altri e (ii) la fiducia di coinvolgerli. Infatti, riconoscere i propri limiti è un atto di responsabilità e non di debolezza. Oggi, tutto questo accade non sempre in modo facile, e infatti intuizioni validissime non sono spesso attuate perché mancano di forza, quella forza – come più volte annunciato – che può avere “facendo sistema”. Tuttavia il “fare sistema” non è uno slogan, oppure un’emozione o una sensazione ma, al contrario, dovrà costituire una realtà da vivere attraverso la fiducia reciproca, condividendo un percorso culturale continuativo, serio e responsabile fondato sull’esercizio delle virtù.
Vincenzo Bassi
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